THE ART OF INSTITUTION

Se è vero che conoscenza e libertà sono due elementi inseparabili e che rimandano l’una all’altra in una sorta di circolo virtuoso, è altrettanto vero che questo binomio è sottoposto a continui attacchi e predazioni, innanzitutto perché la sua sinergia fa tremare tutti i poteri di questo mondo. Così, come abbiamo imparato dalla retorica liberale – ovvero che l’esercizio dell’una richiede la difesa dell’altra, e che la conquista della seconda è impossibile senza l’adeguata costruzione e promozione della prima – dovremo cominciare ad apprendere che oggi questo legame emerge come il cuore di un conflitto aspro e spesso silenzioso. Lo scioglimento del legame tra conoscenza e libertà si presenta, infatti, a livello globale, come uno dei principali e più urgenti problemi della governance globale, la cui soluzione passa, generalmente, attraverso due operazioni strategiche: la demolizione della sfera pubblica, e la subordinazione della capacità produttiva (di intere nazioni e aree geografiche così come di classi sociali e dei singoli) alle decisioni di un oligopolio finanziario che drena e accumula la ricchezza socialmente prodotta. Apparati statali (ma vale anche per i partiti delle repubbliche democratiche) che funzionano più solo come ricettacoli di corruzione, e destini di intere nazioni sovradeterminati dall’andamento del loro debito pubblico, sono solo due esempi clamorosi di una trasformazione che ci spinge a ripensare da cima a fondo il ruolo e le potenzialità della politica. La storia dovrebbe insegnarci che le nuove istituzioni rimpiazzano quelle troppo vecchie e non più efficaci. Ma chi governa il decorso storico? Chi costruisce l’orizzonte in cui si muovono le decisioni politiche? Per chi si impegnasse a resistere a questa tendenza storica diventerebbe subito chiaro che l’eterna questione del “che fare?” risulta incompleta o insufficiente se non accompagnata dalla più difficile – ma al tempo stesso dirimente – questione del “come fare?”. Ecco dunque che piano programmatico e creatività istituzionale (o se preferiamo: politica e arte) si intrecciano. Dal momento che non si tratta di difendere una cultura specifica ma di reinventare, ogni volta, la stessa possibilità di una cultura in generale (è questo il senso profondo della crisi che stiamo vivendo), l’indipendenza di ogni iniziativa di riscossa dentro la crisi si fa più concreta (e non solo enunciata) quanto più riesce a coniugare con la produzione culturale il momento della formazione, e quindi anche dello studio e del confronto. Nuove istituzioni non hanno solo bisogno di fondamenta, di basi gettate, ma anche di crescere; di regolamenti e di esercizio collettivo. “Crisi” significa anche e innanzitutto: decisione. Quali forme e quali percorsi di volta in volta dovranno darsi le decisioni che trasformeranno lo spazio pubblico e la produzione economica può essere la sfida per quelle arti che, abbandonato il feticcio dell’opera e della performance, come anche la logica dell’evento, vorranno riappropriarsi di quella vocazione istituzionale che secondo Aristotele connotava la politica come arte di governo, aggiungeremmo, di sé insieme agli altri.

GUELFO CARBONE
Fa parte di LUM – Libera Università Metropolitana di Roma presso il centro sociale romano ESC-Atelier Autogestito. È dottorando in Filosofia all’Università La Sapienza di Roma.