INTERROGARE L’ARTE PER NON BASTARE A SE STESSI

1 Credo che l’arte abbia sempre un ruolo attivo: la difficoltà è capire quali sono le premesse e gli obiettivi. Non c’è l’arte, ci sono tante facce dell’arte, tanti punti di vista e espressioni. Nell’era attuale della post globalizzazione, della crisi, della riscrittura delle storie, l’arte si presenta sotto molteplici forme: da dispositivo che sostiene e alimenta il solo mercato a pratica di denuncia, di immaginazione, di azione. Tra questi due poli ci sono un’infinità di espressioni. In questo momento non è facile distinguere, capire e sapersi orientare. Non ci sono riferimenti (ideologici, “critici”, di movimento o tendenza) e questo, che è un bene sicuramente, crea certamente confusione o la creazione di nuove apparenze semmai sotto parole chiave che diventano semplici e un po’ vuoti punti di riferimento.

2 La risposta credo sia abbastanza semplice: tutto ciò risponde alle nuove forme del sistema dell’arte. Il meccanismo è in realtà sempre lo stesso: soltanto che oggi si alimenta il contenitore, la cornice, il luogo. Quindi il denaro va alla creazione di nuovi musei, di nuovi allestimenti, di infrastrutture senza occuparsi (troppo) di quello che avverrà al loro interno, di come saranno usati questi spazi. Si può costruire un intero programma culturale con l’aiuto di internet o con le immagini. La “società dello spettacolo” ha trionfato.

3 I fondi indipendenti vengono da chi “dipende” in maniera forte da un sistema economico che sempre più favorisce pochi e ristretti settori commerciali o finanziari. Tuttavia si possono cercare di costruire sistemi di spostamento di risorse economiche ma sono necessarie nuove forme di collaborazione, di relazione, di condivisione di progetti. Non è sufficiente andare dove c’è il denaro. Chi ce l’ha sa già come spenderlo e il meccanismo dell’investimento nell’arte è identico ad altre forme di investimento. C’è da fare un grande lavoro.

4 L’immaginazione non ha limiti ma la realtà è ben altro. Il problema, in Italia, forse più che in altri paesi sono le forme clientelari, le “amicizie”, il sistema dei favori e degli scambi. Ci vorrebbe un ricambio, concorsi con comitati internazionali, tavoli misti (rinnovati ogni tre anni da nuove figure) per decidere linee progettuali e programmatiche. L’università dovrebbe avere un ruolo determinante nelle decisioni pubbliche e nella cultura. Ci vorrebbe qualche regola, ma delle regole si ha paura perché possono diventare vincoli.

5 Non credo dipenda soltanto dalla crisi della rappresentanza. È un meccanismo simile a quello che vede chiudere ogni giorno piccole o medie attività commerciali e imprese. Tutto si concentra in poche ma fortissime grandi catene commerciali, in imprese e aziende multinazionali: nell’arte sono i grandi musei, i grandi collezionisti, gli artisti stessi divenuti sistemi organizzati (con dipendenti) di investimento economico su se stessi. Il grande divora il piccolo e anche il medio. Quindi una possibilità sarebbe mettere insieme, collegare, fare rete in modo che il piccolo divenga non una realtà individuale isolata ma un anello di una catena forte e organizzata anche secondo strategie di costruzione di piattaforme comuni: questa deve essere una strada da percorrere.

6 Si è fatta una grande confusione del sistema no profit. Ci sono fondazioni o sistemi centrati sul collezionismo che si presentano come tali, ma in realtà sono tutt’altro. Il no profit dipende da un progetto culturale, non è un’apparenza che nasconde sempre i medesimi meccanismi del mercato. Quindi da questa confusione nascono nuove alleanze e “apparizioni”.

7 La responsabilità deve essere totale e determinante: ma anche questa parola si è un po’ svuotata. Comunque chi ha deciso di fare una donazione, di istituire un bene pubblico (una fondazione ad esempio), di mettere in comune un patrimonio di idee, risorse culturali e progetti ha un’immensa responsabilità: per mantenere la propria scelta, conservarla nella trasparenza e nell’autonomia, senza restare isolato ma costruendo relazioni nel progetto, nella condivisione degli obiettivi. È un grande lavoro, anche sui contenuti.

8/9 Non è una questione di fiducia o di manipolazione. Le istituzioni sono abbastanza assenti. L’artista o chi intende portare avanti un progetto culturale  non può, oggi, fare riferimento alle istituzioni per come sono diventate. Abbiamo vissuto un periodo davvero buio politicamente e la ripresa è molto difficile. Ma in questo momento sono necessari nuovi sforzi, cercare nuove piattaforme di dialogo pubbliche, far incontrare diverse competenze e creare tavoli di incontro, di progettazione, di reinvenzione delle forme di collaborazione. Qualcuno lo sta facendo. L’importante è che tutto avvenga nella maniera più trasparente in luoghi pubblici, aperti a tutti.

10 Forse sì. Ma prima dobbiamo capirci: che significa municipale o federale?  Alcune forme di federalismo sono pericolose. Le forme di collegamento, di relazione sono fondamentali, ma la loro costruzione deve avvenire a partire dal basso: una enorme e forte rete di strutture autonome che poi possano dialogare con le istituzioni, con le forme della politica attuali. Per questo ci vogliono premesse e obiettivi comuni senza i quali il sistema a rete si sfalda.

CARLA SUBRIZI

Docente di Storia dell’arte contemporanea e di Semiologia dell’arte contemporanea all’Università La Sapienza di Roma.