Preferirei un atto non per l’arte in senso astratto ma per coloro che tentano di viverci senza molto successo. Per alimentare veramente, e non a parole, processi democratici, bisognerebbe innanzitutto che coloro che lavorano nel mondo dell’arte possano sostenersi economicamente con essa. Attualmente in Italia l’arte è spesso un giocattolo di lusso per i collezionisti, o semplicemente un lusso per gli artisti che possono permettersi di non fare altri lavori per mantenersi. Per i critici e per i curatori è una professione il più delle volte precaria e mal pagata. In un momento di crisi economica come questo, l’arte segue l’andamento negativo degli altri settori.
Dopo la grande abbuffata, non c’è più niente da mangiare. Il sindaco Gianni Alemanno ha dichiarato che gli stipendi dei dipendenti comunali saranno a rischio nei prossimi mesi. Se esistesse una struttura simile all’Arts Council per erogare fondi a sostegno degli artisti, dei loro progetti, e delle associazioni no profit in modo trasparente, sarebbe possibile immaginare forme di finanziamento alternative alla gestione attuale. Non mi sembra che le forme di governo rappresentino più qualcosa, tuttavia continuano a dettare legge. Questo rappresenta un problema culturale tipicamente italiano. C’è un’ipocrisia di fondo nella gestione del no profit. È come se chi lavora in questo ambito non debba vivere del lavoro che fa. Bisognerebbe iniziare prima di tutto a quantificare in termini economici il tempo e le energie spese. La mia esperienza nel campo del no profit è negativa. Come spesso accade, si incentiva in teoria ma nella sostanza ogni passaggio è faticoso e demotivante. Un’attività economicamente insostenibile. Nessuno dovrebbe più accettare lo sfruttamento delle idee e il lavoro gratuito. All’estero un artista non sopporterebbe mai, come invece accade da noi, di impegnarsi in un progetto senza un budget e un compenso. La mancanza di professionalità, che a volte si riscontra nel mondo dell’arte italiano, dipende dal fatto che questo è un mondo di precari, fatta eccezione di una minoranza garantita. Ora la situazione si è ulteriormente aggravata, le riviste italiane di settore non pagano, io non scrivo più per Flash Art per questa ragione.
Attraverso la costituzione di una Consulta, a Roma si è cercato di stabilire una relazione con i politici e gli amministratori in carica, ma è difficile impegnarsi continuativamente quando questa responsabilità sottrae tempo ad altri lavori pagati. Il riconoscimento economico è la base su cui costruire qualsiasi processo democratico di dignità professionale. Questo vale per tutti gli operatori del settore. Quando i politici ritengono che gli artisti debbano sentirsi onorati di essere ospitati dentro un museo e tutti assecondano questa stortura, è chiaro che c’è un’idea della cultura intesa non come servizio alla cittadinanza, ma come forma di intrattenimento.
Purtroppo non so come si potrebbe ribaltare la situazione. Forse trasferire un po’ di gente su Marte servirebbe a sfoltire la ressa che si accalca attorno ai pochi posti da direttore, da curatore, o per i vincitori di residenze! Scherzi a parte, è davvero difficile.
MARIA ROSA SOSSAI
Critica d’arte e curatrice. Nel 2012 ha fondato ALA (Accademia libera delle arti), una piattaforma di educazione/formazione all’arte contemporanea.
Vive e lavora a Roma.