L’ARTE AL DI LÀ DELL’EFFICIENZA MANAGERIALE E DEL PROFITTO: UN BENE IRRINUNCIABILE

Negli ultimi anni, l’Istituto Svizzero di Roma si è fatto promotore di iniziative capaci di tessere un confronto ampio tra il variegato mondo artistico che anima la città di Roma e i fermenti della realtà svizzera, con i suoi vari livelli istituzionali, gli spazi autogestiti e naturalmente gli artisti giovani e meno giovani. Il tutto saldamente ancorato a una prospettiva che tiene conto delle numerose esperienze che attraversano l’Europa. Questo è lo spirito che anima anche P/Act for Art a Roma, un giornale nato dalla collaborazione tra la nostra istituzione e la 7. Berlin Biennale per discutere, a livello internazionale, i temi legati alla produzione culturale, al ruolo dell’arte e delle sue istituzioni in questa epoca di profonde trasformazioni.

La scena molto vivace che caratterizza città come Zurigo o Ginevra è il risultato di politiche di finanziamento trasversali, capaci di sostenere gli artisti locali con risorse non trascurabili, anzitutto se si guarda al contesto europeo attuale. Nonostante tutte le critiche formulate non di rado nei dibattiti pubblici, rimane fondamentale il fatto che  finanziare la produzione artistica dovrebbe essere un atto simile a innaffiare un terreno fertile, in piena coscienza del  rischio inevitabile che alcuni degli investimenti compiuti probabilmente andranno perduti. Solo sostegni non discriminatori creano le condizioni favorevoli che fanno emergere i talenti più inattesi. Allo stesso tempo, le istituzioni devono essere in grado di fornire quelle risorse e alimentare quei progetti necessari a fare ulteriormente maturare il talento e l’eccellenza dei giovani artisti. Per favorire un ambiente culturale vitale e prolifico, un’istituzione artistica deve essere dunque capace di sostenere entrambe le fasi, componendo investimenti tra loro differenti, trasversali e specifici allo stesso tempo, non escludenti bensì complementari.

È un modello al quale non bisognerebbe mai rinunciare, anche se i criteri di efficienza, oggi alla moda, spingono in direzioni diverse. Il cuore di tale modello, in Svizzera, è la dimensione locale, capace di ridefinire la cittadinanza anche in un contesto globalizzato, come diretta espressione dello spazio che ciascuno di noi abita, sia esso il piccolo centro urbano o la città. Questa è la stessa dimensione su cui le istituzioni artistiche andrebbero fondate e che dovrebbero rappresentare.

A questo proposito, il federalismo è una risorsa strategica in grado di trasformare singoli territori in un ambiente fecondo; la Svizzera, con le sue quattro lingue, è una costellazione di realtà specifiche che hanno vita propria e che non possono essere omogeneizzate o assorbite una nell’altra. Sebbene talvolta questa specificità locale è faticosamente comunicabile all’opinione pubblica perché di non facile semplificazione, oppure rende difficoltoso attuare politiche culturali uniformi, questa dimensione è al contempo un’importante risorsa, uno straordinario serbatoio di eccellenza continuamente alimentato da giovani artisti locali. È da questa latitudine che si deve partire per pensare alla costruzione di reti extra-nazionali, ancorate a bacini locali in grado di parlare lingue differenti e, al contempo, di dare vita a forme di originale mobilità. È partendo dalle differenze, da un grado iniziale di produttiva eterogeneità, che si può creare qualcosa di nuovo: con questo giornale mi piacerebbe considerare gli aspetti delle politiche culturali appena descritte come un modello per afferrare le possibilità che il presente ci offre in Italia, ma anche in Europa.

Tuttavia, per comprendere l’attuale sostegno alla produzione artistica e la funzionalità nel valorizzare le nuove generazioni, dobbiamo ripartire dall’inizio degli anni Ottanta, che a Zurigo è stato una sorta di secondo ’68. In quegli anni, si sono diffuse intense proteste contro la distribuzione di finanziamenti che allora si concentravano quasi interamente sulla cultura istituzionalizzata, senza sufficiente attenzione ai giovani e alla sperimentazione artistica. La riapertura del teatro dell’Opera, con stanziamenti di fondi ingenti destinati alla lirica, scatenò un movimento giovanile intransigente che ha invaso la città intera, creando un clima aspro e, per tutti, anche doloroso. Quelle forti tensioni sociali hanno scosso profondamente l’establishment culturale, forzandolo a ricalibrare la strategia delle politiche culturali. Senza quelle proteste Zurigo non sarebbe sicuramente la città che conosciamo oggi: le esperienze conflittuali hanno gettato le basi per trasformarla in una realtà aperta, dinamica, effervescente e forse anche meno zwingliana. Durante questa piccola rivoluzione degli anni Ottanta, le istituzioni hanno avuto il coraggio di reinventarsi, anziché chiudersi in se stesse, dando nuovo spazio ai giovani che si erano ribellati, come è avvenuto, per esempio, sostenendo le Jugendhaus.

Nei sette anni vissuti come direttore dell’Istituto Svizzero di Roma ho avuto modo di conoscere da vicino la città di Roma: una metropoli straordinaria che alla sua incomparabile ricchezza storica affianca la presenza di un numero senza pari di istituti e accademie straniere. A partire dall’impegno dell’allora Assessore alle Politiche culturali Umberto Croppi, Roma si è legata sempre più a questi luoghi, che potrebbero contribuire in modo decisivo al dibattito pubblico e allo sviluppo della città eterna. Tuttavia, ormai da qualche tempo, Roma sta vivendo una crisi difficile che si è acuita negli ultimi anni, dove si percepisce la mancanza drammatica di finanziamenti da poter investire nell’arte e nella produzione culturale in generale. Eppure, in una situazione di profonda difficoltà e delusione, vedo emergere sempre più un ricco fermento che oggi può essere fonte d’ispirazione. Roma è tutt’altro che pigra o senza energia, è una metropoli dove interessanti esperimenti stanno cercando nuovi approdi e percorrendo vie originali. Questo clima, tra tagli elevatissimi e rinnovata vitalità, rappresenta una sfida intellettuale per tutto il mondo dell’arte e mi auguro che questo giornale possa essere, in questo contesto, un contributo e un utile strumento di discussione e ricerca.

CHRISTOPH RIEDWEG

Direttore dell’Istituto Svizzero di Roma