Negli ultimi dieci anni Roma ha vissuto una stagione di nuovi fermenti che hanno seguito tre direttrici principali: anzitutto l’apertura di grandi istituzioni cittadine e statali dedicate all’arte contemporanea, frutto di una volontà politica in cerca di contenitori paradigmatici che potessero competere con le maggiori istituzioni europee con costi elevatissimi per la collettività, e che faticano a darsi un’identità, una programmazione e un ruolo concreto nella città al di là di quel ruolo di propaganda per il quale sono stati concepiti.
In secondo il moltiplicarsi di iniziative private no profit di vario genere, che nascono da una nuova elite cittadina, animate da obiettivi differenti. Infine il proliferare di nuove esperienze collettive espressione di una nuova generazione, alcune delle quali si muovono tra attivismo e pensiero politico, altre più interne al sistema dell’arte. A partire da una prospettiva immediatamente europea che si muove tra Berlino e la Svizzera, abbiamo chiesto a questi soggetti tra loro così eterogenei di partecipare a una discussione pubblica, di prendere parola su alcuni argomenti che, in solidarietà con la Biennale di Berlino, riteniamo urgenti nello scenario attuale e che riguardano:
la posizione dell’artista nella società; il ruolo delle istituzioni culturali; la situazione economico-sociale vissuta da tutti coloro che, in un modo o in un altro, contribuiscono alla scena culturale del nostro tempo; la possibilità degli artisti di agire per produrre conseguenze reali e un cambiamento visibile nella società. In Europa il dibattito di movimento sulle istituzioni contemporanee è molto vivace come è possibile osservare dalle riflessioni promosse dal collettivo ESC a Roma e il gruppo Krytyka Polityczna di Varsavia, che collabora attivamente alla Biennale di Berlino. Al crocevia di tre esperimenti e latitudini – Roma, la Svizzera, Berlino – vogliamo contribuire al dibattito nel quale pratiche artistiche e politiche convergono e agiscono, così come è accaduto nell’occupazione del Teatro Valle, il cui effetto sull’immaginario è ampiamente documentato in questo giornale (oltre che nelle cronache recenti). Sull’onda emotiva che i movimenti di #Occupy hanno prodotto, le occupazioni di spazi sono viste oggi sotto una nuova luce anche dalla stampa più conservatrice.
A Roma un altro esempio recente che per noi assume particolare rilievo è l’occupazione del Cinema Palazzo, che è riuscita a coinvolgere un intero quartiere e le sue più diverse componenti sociali.
Se guardiamo alla Svizzera, emerge come il suo forte radicamento alla realtà municipale (anche se si tratta di un paese sempre osservato per il suo carattere internazionale) può rappresentare un aspetto interessante di ricerca in un momento in cui la prospettiva federalista è, sempre più, presente nelle sperimentazioni di reti municipali in molte città europee.
Con questo giornale abbiamo scelto di metterci in mezzo alle cose dove pensiero e azione sono inseparabili. Ma le parole, non avremmo dovuto dimenticarlo, non sono mai un fatto individuale, ma sono sotto la responsabilità dell’insieme della società. I vari soggetti che agiscono nel mondo dell’arte sono da troppo tempo una rete di individui dispersi e non costituiscono una soggettività aperta, capace di cooperare. Diffondere l’arte non vuol dire affidarsi al ruolo di commentatori, interpreti, analisti, critici, biografi, esegeti di opere mute della devota testimonianza che diamo della loro grandezza. Ci siamo trasformati in custodi giurati di un tempio di cui vantiamo meraviglie con parole che ne chiudono le porte. P/Act for Art è dunque uno strumento per capire una situazione. Uno strumento non neutrale e di parte, che chiede un confronto aperto, pubblico, con posizioni non neutrali, radicate in un luogo ma con una prospettiva immediatamente aperta, locale ma non provinciale. Questo perché una discussione non può che partire da posizioni definite, da un luogo, da un volto, da un punto di vista circonstanziato. Questo giornale è una mappatura che abbiamo sentito necessaria, un possibile inizio inteso non come origine, che è sempre misteriosa e divina, ma come il primo passo di un’azione da intraprendere.
La maggior parte delle forme nuove, forme di vita, forme d’arte, si producono non partendo da zero, ma per lenta derivazione da una forma precedente. Lo strumento si adatta a poco a poco, subisce leggere modifiche; la novità che risulta dal loro effetto congiunto appare di solito soltanto in conclusione, una volta scritta la parola fine.
Ma l’ultima parola di questo giornale speriamo sia l’inizio di un processo necessario di riscrittura delle regole, di ridefinizione delle nostre istituzioni, dei nostri ruoli, del nostro luogo comune, delle nostre priorità. Un nuovo patto e una nuova azione per l’arte.
SALVATORE LACAGNINA
Head of Arts Programme, Istituto Svizzero di Roma
Curator of the ISR-Solidarity Actions