Negli ultimi otto anni, il paesaggio romano dell’arte contemporanea è cambiato radicalmente. Non solo due “nuovi” musei, ma anche la nascita di diverse iniziative indipendenti (spesso autofinanziate) e la trasformazione di collezioni private in fondazioni hanno creato una fitta rete di relazioni. Ciononostante, proprio negli ultimi otto anni, il lavoro culturale è diventato sottopagato, precario e insostenibile. Come mai? Un sintomo è riscontrabile nell’omogeneizzazione del discorso culturale. Non solo i formati (seminari, incontri con artisti, proiezioni e mostre), ma anche i contenuti discussi negli spazi privati, indipendenti o pubblici sono spesso gli stessi. Tre diverse piattaforme, che dovrebbero produrre diverse, se non contrastanti, forme del discorso culturale sono invece assimilate da un allarmante consenso. A Roma non è difficile trovare direttori o curatrici di musei pubblici invitati a discutere il senso delle iniziative indipendenti; oppure, attivisti piuttosto che operatrici della scena indipendente chiamati a dirigere fondazioni. Questa confusione di ruoli si incarna nel ruolo del tuttologo 1. È il precariato culturale a rafforzare la figura del tuttologo il quale, da una parte, annulla la divisione del lavoro culturale, dall’altra, diventa dimentico dell’importanza di ciò che ognuno sa fare. Denunciare l’insufficienza del tuttologo è un atto fondamentale per (ri)imparare ciò che sappiamo fare. Ne trarrebbero beneficio non solo gli artisti e le artiste, ma anche il collezionismo precario ed estetizzante che si è sviluppato come un riflesso del berlusconismo. Piuttosto che essere nostalgici rispetto a un vecchio sistema di finanziamenti e produzione, credo sia più opportuno iniziare a sperimentare. Non sono d’accordo con la creazione di comitati consultivi paralleli a quelli già in atto. Bisogna capire chi sa fare cosa. Anziché burocratizzare ulteriormente la produzione culturale, bisognerebbe renderla più elastica. Si potrebbe partire dai due musei di arte contemporanea i cui spazi enormi spesso restano vuoti. L’uso dello spazio è già una forma di manutenzione: mettere a disposizione di artisti, artiste, curatori o curatrici gli spazi istituzionali in cambio di elettricità, portineria e ufficio stampa è un modo per alleggerire le spese di gestione. Potrebbe essere questo un primo passo per capire le differenze tra interessi pubblici, privati e indipendenti e, magari, iniziare un vero dialogo basato sul dissenso.
FRANCESCO VENTRELLA
Storico dell’arte, curatore e teaching assistant all’Università di Leeds (Gran Bretagna). È tra i fondatori di 1:1 projects, Roma.
1 – Il tuttologo non è semplicemente un tuttesalle, ma è l’attore principale di una cultura conservatrice ed elitaria. Il tuttologo ritiene che tutto ciò di cui possiede conoscenza corrisponde a ciò su cui può mettere gli occhi o le mani prima di qualcun altro. È in questo senso che la questione della tuttologia è legata a ciò che si può dire di ciò che vediamo.