IL MUSEO A SERVIZIO DELLA COMUNITÀ: IL MODELLO SVIZZERA

Il sistema attuale delle istituzioni d’arte della Svizzera inizia a consolidarsi verso la fine del XIX secolo, sulla base di una cultura associativa radicata localmente. Nel resto del continente europeo, si pensi alla Francia o all’Italia, l’alternativa moderna si muoveva tra il potere politico dello Stato, della corte, e quello della Chiesa. Fin dal Medio Evo, con diversi momenti di aggregazione, la Svizzera ha stabilito un sistema federale privo non soltanto di un unico centro, ma soprattutto di una cultura della centralizzazione. I cantoni che compongono la Confederazione sono distretti tra loro molto differenti, che parlano spesso lingue diverse e, tanto storicamente quanto culturalmente, queste specificità si rispecchiano nelle sue istituzioni culturali e nei suoi musei. Ancora oggi nella struttura amministrativa confederale, la produzione culturale è materia esclusiva della dimensione territoriale del Cantone (così è fissato anche nell’attuale costituzione). Nel sud della Germania e nella Svizzera tedesca di fine Ottocento, sulla spinta di un movimento di auto-organizzazione della borghesia locale, nascono i primi esempi di Kunstverein, associazioni di artisti e collezionisti nate per colmare il vuoto culturale creato dalle istituzioni più tradizionali, come i musei che non si interessavano dell’arte e della cultura contemporanea. Tanto le Kunsthalle quanto le Kunsthaus, inizialmente, erano quindi istituzioni interamente private, gestite da associazioni (Kunstverein) che ne finanziavano materialmente i programmi e i progetti volti, per lo più, ad esporre le opere d’arte contemporanea piuttosto che a collezionarle. L’idea forte di queste iniziative era quella di mostrare e far conoscere il lavoro degli artisti locali, instaurando così profondi legami con il territorio e sviluppando quella viva legittimità sociale che le caratterizza ancora oggi. È nata allora la tradizione delle mostre dedicate agli artisti locali, della città o del cantone, che si svolgono ancora oggi nel periodo natalizio. Queste realtà inoltre sono state collegate tra loro fin dall’inizio permettendo, in questo modo, non solo la circolazione delle diverse opere esposte in contesti differenti, ma anche la sedimentazione di una fitta rete di scambi e di cooperazione intra-istituzionale. Molti dei lavori esposti venivano successivamente venduti come strumento di sostegno economico, dando così vita a una vera e propria economia dell’arte gestita da associazioni locali di collezionisti e artisti. Questi ultimi hanno ricoperto in molti casi un ruolo importante, come ben testimonia il fatto che la stessa Kunsthaus (casa dell’arte) era inizialmente chiamata Künstlerhaus, ovvero “casa degli artisti”. In origine, le Kunsthalle si affidavano interamente ai capitali privati raccolti dalle Associazioni (Kunstverein), di cui si poteva (e si può ancora) diventare membri, o finanziare singoli progetti o parte del programma espositivo. Oggi le istituzioni maggiori, come la Kunsthaus di Zurigo, descrivono un sistema di finanziamento che potremmo definire “misto” tra pubblico e privato: mentre solo una parte del budget a loro disposizione deriva dal cantone e dalla città di appartenenza, la componente più consistente dei fondi è fornita da soggetti privati (membri dell’Associazione) che, in un certo senso, funzionano da sponsor. In Svizzera, si è sviluppato poi un sistema maturo di fondazioni no profit che finanziano progetti, pubblicazioni e la produzione culturale in genere, tramite fondi destinati a singoli artisti e istituzioni, che hanno accompagnato i profondi mutamenti delle modalità di produzione dell’arte e della sua fruizione. La politica dei finanziamenti ha subito un cambiamento di recente, di pari passo con la crescita del pubblico che oggi non è più un’èlite ristretta. I visitatori hanno bisogno anche di supporti tecnici come programmi di didattica, le pubblicazioni, i cataloghi, le attività per i membri, la pubblicità, la comunicazione etc.
Buona parte dei fondi che precedentemente erano interamente destinati ai progetti artistici oggi rappresentano soprattutto lo strumento che ha permesso la crescita di questo tipo di infrastrutture. Se un tempo circa il 40% dei finanziamenti era destinato ai progetti artistici, oggi quella percentuale non arriva nemmeno al 10%, imponendo così la ricerca di uno sponsor esterno o un’attività più “commerciale” per sostenere i costi di una programmazione che potremmo definire più “sperimentale”. L’esperienza delle Kunsthalle è molto differente, perché questo tipo di istituzione più piccola, infatti, organizza esposizioni che sono principalmente finanziate dal Kunsteverein (associazione proprietaria della Kunsthalle), che conferiscono loro un originale grado di libertà, di fatto non obbligandole a intraprendere un approccio di mercato per poter sopravvivere. Le Kunsthalle beneficiano oggi anche di un contributo dai Cantoni e dalle municipalità locali, che raggiunge a volte più del 50% del budget annuale. Sono sempre state strutture agili, dove i direttori cambiavano ogni tre o quattro anni, per garantire un ricambio continuo di punti di vista. Anche le istituzioni maggiori come la Kunsthaus sostengono regolarmente la produzione artistica locale attraverso fondi, borse di ricerca, concorsi, premi e acquisizioni delle opere. Periodicamente, ogni dieci anni circa nel caso di Zurigo, organizzano mostre di artisti giovani che animano la scena della produzione culturale Svizzera: il caso più recente alla Kunsthaus è stato Shifting Identities, una mostra e più in generale un progetto culturale, che ha indagato il rapporto tra arte contemporanea e globalizzazione. Non mi pare di avvertire in Svizzera una spaccatura con le produzioni giovanili, neppure al livello delle istituzioni maggiori: i curatori dei musei sono sempre informati e in contatto con i giovani, con gli spazi autogestiti e con le scuole. Un altro aspetto utile a dare conto delle forme di finanziamento di queste istituzioni è costituito dalle numerose agevolazioni fiscali che hanno permesso a molti enti privati no profit di investire denaro nel mondo culturale, rendendo sempre più responsabile una fitta cerchia di attori sociali e facendo crescere collettivamente la produzione culturale locale. Tutto questo ha avuto bisogno di tempo per crescere e consolidarsi nelle forme attuali, come prodotto di una continuità di lavoro resa possibile grazie alla stabilità e all’indipendenza che questi spazi godono rispetto ai mutamenti della rappresentanza politica. Tutto il contrario, sembra, di quanto avviene in Italia, dove le istituzioni dell’arte, molto spesso, non sono solo supportate dalla politica della rappresentanza, ma la loro stessa esistenza è spesso subordinata al risultato elettorale di breve termine. Per quanto riguarda ancora l’Italia, proprio la debolezza e l’instabilità delle istituzioni ha prodotto invece un certo stato di isolamento: in questo paese si osserva ancora lo strapotere dei critici che ricoprono un ruolo chiave tra artisti, galleristi e istituzioni. In generale, in Europa e negli USA, il valore sociale e professionale è garantito piuttosto dall’appartenenza a un’istituzione. Anche il ruolo dei collezionisti rimane fondamentale. In Svizzera ancora oggi è la borghesia locale a sostenere l’arte contemporanea. Come si diceva all’inizio, negli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, alcuni privati erano anche importanti collezionisti d’arte contemporanea, e diedero una spinta propulsiva importante alla nascita del nuovo sistema istituzionale. In quegli stessi anni, in Italia c’erano importanti collezioni d’arte antica e di pittura, così numerose da riempire i musei. Questo succedeva non solo a causa delle vicende storiche che tutti conosciamo e per ragioni che sono profondamente radicate in una cultura come quella italiana, ma anche per via di un’antica tradizione legata alla classe aristocratica che la borghesia ottocentesca ha voluto proseguire. Partire dal ruolo dei collezionisti oggi è molto importante per interrogarsi su un sistema che parte dal basso: è grazie al sostegno di molti collezionisti che le gallerie giovani possono collaborare con realtà più solide anche in diverse città e paesi, o con gli spazi indipendenti. Si tratta di mettere in contatto categorie differenti. È bene sottolineare che oggi il sistema è in continua evoluzione, presentando anche rischi nuovi. Oggi, per cercare di ripensare le istituzioni dell’arte contemporanea, può essere forse utile ripartire dalla storia e dall’esperienza della Svizzera, il cui carattere federativo ha avuto la capacità di dar vita a originali connessioni internazionali rafforzando, allo stesso tempo, quella dimensione comunitaria e territoriale che un’istituzione dell’arte dovrebbe anzitutto esprimere.

TOBIA BEZZOLA
Senior curator alla Kunsthaus Zürich. Vive e lavora a Zurigo.
Tra le mostre più recenti ha curato: Pablo Picasso. His first museum exhibition (2010); FotoSkulptur. Die Fotografie der Skulptur 1839 bis heute (The Original Copy), MoMA New York, Kunsthaus Zürich (2010); Joseph Beuys. Difesa della Natura, Kunsthaus Zürich (2011); Franz Gertsch, Jahreszeiten, Kunsthaus Zürich (2011).