IL TIMORE DI PASSARE IL LIMITE DELL’ORDINARIO

La risposta a domande sul ruolo dell’artista, sulla mancanza di fondi destinati alla cultura e sulle logiche politiche nella distribuzione delle risorse risiede nel concetto di “fare”, che a sua volta rimanda all’idea di lavoro così come quella di necessità. A questo riguardo, sono convinto che l’Italia sia rimasta indietro, o che addirittura indietro ci sia voluta andare. I motivi li conosciamo in tanti, ma è meglio ribadirli  per il futuro: abbiamo preferito i modelli di Dolce & Gabbana, le cubiste, i salotti di Maria de Filippi; abbiamo preferito lo standard della visione sensazionalistica e massificata, più facile da comprendere. Una preferenza in accordo non tanto con l’attitudine ma con l’abitudine a tollerare tutto. Questo corrisponde anche (ahimè) a una forma di democrazia. Possediamo una tradizione artistica senza eguali, ma l’offerta formativa contemporanea è talmente carente da non permetterci di affrontare il nuovo senza percepirlo come difficile ed elitario. Non vediamo un’alternativa oltre a quella che è diventata una scelta dettata dall’abitudine, mentre l’offerta si adegua alla domanda. Oggi l’informazione non ha più limiti, ma permettiamo alle classi dirigenti di propinarci un sistema ingolfato che riserva la possibilità di una formazione adeguata solamente a chi dispone dei mezzi economici. Al di là della richiesta, l’attuale offerta culturale istituzionale sembra temere di oltrepassare i limiti dell’ordinario. La cultura rappresenta un valore determinante nello sviluppo economico e intellettuale di un paese perché la produzione artistica, oltre alla sua valenza culturale, costituisce un importante peso del prodotto economico di una nazione. Questa svalutazione della cultura ha trovato terreno fertile in quel malcostume perpetrato nella cattiva gestione delle risorse economiche. Perché lo Stato spende risorse inutili per proiettare la faccia di Nerone sui Fori Imperiali e scrivere Nerone sulle finestre del Colosseo? Non sarebbe meglio indirizzare tali fondi nelle casse del Comune per l’acquisto di opere d’arte contemporanea? C’è bisogno d’insegnare a “vedere” alle generazioni più giovani, di spezzare l’autosufficienza autoriale e restituire potere alla facoltà del dubbio, ponendo la nostra mente in uno stato d’allerta. L’artista non è un’icona ma uno strumento per fornire stimoli utili. L’arte è una lente d’ingrandimento sul mondo e, nel continuum del tempo, rappresenta per l’uomo il rapporto con la verità e la storia. L’arte è un mezzo che consente di respirare quando l’aria diventa asfittica. Credo alla forza dell’opera d’arte, nel suo piccolo o nelle manifestazioni più spettacolari. Dalle grandi mostre nei musei agli incontri in studio, l’arte dovrebbe essere raccontata e spiegata dagli artisti non solo nelle accademie d’arte, ma anche negli istituti tecnici, classici e scientifici. Tutto ciò rappresenterebbe un investimento altamente redditizio, indipendentemente dal valore attribuitogli dal mercato, e fondamentale per il progresso etico ed economico, capace anche di migliorare la gestione della sfera pubblica. Continuare a fare il mio lavoro rimane l’unica soluzione verso un miglioramento. Sono un privilegiato perché ho avuto la fortuna di scegliere e di aver avuto sufficiente curiosità. Quello dell’artista è un lavoro per cui spesso non si è pagati, a cui si dedica tutto il proprio tempo e molta energia. Perché, prima di tutto, è un bisogno e, in quanto tale, va tutelato.

ALESSANDRO PIANGIAMORE
Artista. Vive e lavora a Roma.