RIPRENDIAMO IL DIALOGO CON LE ISTITUZIONI POLITICHE

L’arte è tutto fuorché democratica (per fortuna), dunque non si capisce come potrebbe alimentare processi democratici. L’arte piuttosto, o meglio, alcuni protagonisti del mondo dell’arte dovrebbero e potrebbero partecipare al dibattito esponendo la propria opinione con maggiore decisione e risolutezza. Ci sono una serie di motivi per cui i musei spendono una grande parte del loro budget in costi di manutenzione. Il primo motivo è che hanno pochi fondi, il secondo è che sovente sono ospitati (si pensi al Macro o al MAXXI a Roma) in spazi concepiti prima della grande crisi, quando il mondo era diverso. Se questi musei fossero progettati oggi forse certi eccessi da archistar sarebbero messi da parte senza troppe remore. I finanziamenti alternativi per migliorare la situazione dei musei?
Possono provenire solo dai privati, e per ottenere questo è necessario cambiare completamente il quadro fiscale che sovraintende il settore. Anche perché, a proposito di indipendenza, meno sono i privati (o le grandi aziende) che intervengono e maggiore è il loro potere contrattuale che può impattare sulle scelte culturali. Il quadro fiscale e il quadro normativo, quasi completamente mancante, sono anche quegli elementi che, se non modernizzati, provocano  la precarietà e la subalternità della figura dell’artista (oggi gli artisti non hanno neppure l’ombra di una riconoscibilità a livello legale). Artisti, curatori, critici e galleristi sono componenti dell’offerta culturale di una città e sono volano della qualità urbana. Sono ciò che il sociologo statunitense Richard Florida chiama “classe creativa”: la loro presenza o la loro assenza impatta in maniera  positiva o negativa sullo sviluppo civico e civile. E anche economico. Si tratta di attori di un mercato con grandi responsabilità, ecco da cosa deriva la necessità di una normazione più attuale. Nel paese molte istituzioni culturali sono in crisi e rischiano la chiusura. Le motivazioni sono tantissime, una di quelle che non compaiono mai nel dibattito diffuso riguarda la quantità di queste istituzioni. Le istituzioni culturali sono piccole, fragili, spesso indifendibili quanto a qualità del prodotto finale. E, in definitiva, in molti settori sono troppe. Ecco perché sono sempre a rischio. Certo, prima di rassegnarsi i protagonisti del mondo dell’arte dovrebbero instaurare un’interlocuzione più feconda con la politica. A Roma, in particolare, ci sono stati tentativi di creare comitati (o entità simili) nell’ultima stagione, anche con qualche risultato. In realtà la città ha avuto la fortuna, negli ultimi tre o quattro anni, di offrire al settore interlocutori politici di qualità molto superiore alla media. Mi riferisco alla Giunta, dunque a personaggi non necessariamente eletti, in tal caso occorre confrontarsi con l’impresentabilità del Consiglio Comunale e lì davvero il dialogo non è plausibile, purtroppo: il Consiglio Comunale non è lì per fare gli interessi della città. Roma, piuttosto, deve puntare a costruire il suo ruolo internazionale con grandi istituzioni centralizzate, non federali, che accumulino autorevolezza, riconoscibilità e riconoscimento. Il livello municipale difficilmente può funzionare grazie a iniziative pubbliche, lì devono essere i privati, le aziende, i singoli a darsi da fare mentre le politiche pubbliche devono dare le linee e fissare dei punti. Uno dei punti principali dell’agenda deve essere quello di tornare a essere una città dove non solo si continui a esporre arte (in spazi superati dagli eventi, come abbiamo detto), ma dove si riprenda a produrla. Da qui passa sia la capacità di far stare bene i propri artisti, di non escluderli ma  coinvolgerli, sia la capacità di attrarre artisti dall’estero. La sfida dovrebbe essere questa, nei prossimi anni.

MASSIMILIANO TONELLI
Direttore e fondatore di www.artribune.com. Vive e lavora a Roma.