OCCUPARE SPAZI PER PROGETTARE NUOVE POLITICHE CULTURALI

La pratica delle occupazioni di spazi teatrali dismessi o a rischio dismissione rappresenta uno dei fenomeni più interessanti della scena culturale romana. Più di recente si sta consolidando un movimento fatto di lavoratori (precari) della conoscenza che ha compreso come sia maturo, e non più derogabile, il tempo dell’azione. Dalla periferia di Ostia al Teatro Valle, passando per molti luoghi della produzione culturale indipendente cittadina, emerge un circuito caratterizzato da sorprendenti capacità produttive. Precari tra i precari, gli artisti imparano a comprendere e riconoscere la propria emergenza, coniugandola alle insorgenze del presente: reddito, casa, Welfare e con il cuore nella Valle di Susa. Il teatro si fa “comunità in conflitto”, costruisce alleanze inedite e impara a svincolarsi dalla logica delle clientele che il centro-sinistra ha coltivato a lungo, in una micidiale spirale autoreferenziale. L’esperienza dell’autogestione restituisce dignità e desiderio di partecipazione, e afferma la centralità del territorio dove il teatro assume senso, sviluppando la rete di relazioni con il quartiere/città che lo ospita e lo interroga. Spogliato da queste relazioni, il teatro scade a mero rito ripetitivo, privo della sua funzione civile e politica tout court. Alla progressiva chiusura di teatri storici romani (ultimo il Teatro Brancaccio), si accompagna la rinascita, dal basso e clandestina, di luoghi confiscati al degrado, rigenerati e restituiti alla fruizione cittadina. Gli artisti reinventano il loro spazio, i cittadini si riappropriano dei loro diritti. La cultura è un diritto fondamentale di cittadinanza e la pratica vitale delle occupazioni culturali una poetica necessaria. Per questo il Teatro del Lido di Ostia in occupazione da due anni ripropone il modello di teatro pubblico partecipato: un sistema di governance che lo aveva contraddistinto come unicum nella scena nazionale ben prima della sua chiusura ad opera del sindaco Gianni Alemanno.
Partecipazione, co-progettazione, territorio e lavoro di rete diventano le parole chiave di un’esperienza che ha come missione quella dell’empowerment: è solo rafforzando individui e gruppi che può crescere la società civile nel suo complesso e l’arte, con la sua potenza simbolica e comunicativa, diventa il dispositivo umano e sociale indispensabile alla tenuta democratica. In questo scenario ha inizio la sfida della definizione formale, giuridica e culturale delle intuizioni prodotte dal regime dell’autogestione. Il Teatro del Lido di Ostia promuove l’idea di un “piano regolatore per la cultura”: un sistema codificato di procedure partecipative sul modello della legge 328/2000 e composto da tavoli di analisi, co-progettazione, co-valutazione di servizi sociali e culturali a cui, per ora, sono destinati solo l’1% della spesa pubblica. Se è urgente equiparare il sistema cultura agli standard europei in termini di disponibilità di risorse, statuto professionale e accesso al Welfare, tuttavia tale compito non può prescindere dall’opera di bonifica e rigenerazione morale che trova senso compiuto nella politica e poetica delle occupazioni culturali.

FILIPPO LANGE
Fa parte dell’esperienza Teatro del Lido di Ostia, occupato nel 2010 dopo anni di inattività.