UN CAMBIO DI PASSO

1 Non credo che l’arte, l’arte seria e vera, debba per forza avere un ruolo attivo legato alla propria attualità, ovvero militare in senso esplicitamente politico. Ciò che essa fa è piuttosto attivare (e riattivare) un potenziale profetico di trasformazione all’interno dei linguaggi e dell’esperienza umana, sempre inattuale e sempre politico nel senso più ampio del termine.

2/3/4 Tutte le istituzioni artistiche vivono oggi la contraddizione tra la loro missione pubblica e l’ideologia del mercato che mentre detta la loro trasformazione in senso spettacolare le riconfigura come vetrine della monocultura corporate. L’arte come merce, entertainment, trofeo del potere. Le alternative non possono che passare attraverso una ridefinizione complessiva del ruolo pubblico nell’accesso alla cultura, considerata in tutti i suoi momenti, dalla formazione alla ricerca alla produzione, e quindi sviluppando forme di radicamento originali nel tessuto sociale ed economico.

6 Il modello neocapitalista trova oggi nel cosidetto mondo dell’arte una delle sue applicazioni più pure. Competitività, professionalizzazione, marketing, star system, schiacciamento sulla logica della pubblicità e del massimo profitto ecc.: sono tutti ingredienti di una miscela che ha mutato profondamente il profilo sociale dell’esperienza artistica e alla cui critica non è più nemmeno sufficiente la rivendicazione della natura no profit, dato che anche questo settore partecipa attivamente, seppure in modo indiretto, alla formazione del valore. La scelta non può che essere critica, caso per caso. Nulla può essere dato per scontato.

5/7 Il compito più che mai urgente della ricostruzione civile dell’Italia non può che partire da una nuova consapevolezza del ruolo delle esperienze artistiche nella progettazione di un presente più aperto, plurale, dialettico, di quello eternamente catturato nel ciclo del consumo senza memoria e dell’obsolescenza delle merci. Credo sia questa oggi la maggiore responsabilità di artisti, critici e istituzioni.

8 In Italia le istituzioni soffrono da molti decenni di una dipendenza dalla politica intesa come ricerca affannosa del consenso. È ora di spezzare il binomio tra logica clientelare e istituzioni pubbliche, dando a queste ultime statuti, mezzi e autonomia che ne facciano dei veri centri propulsori, dei luoghi pubblici su cui far convergere dibattiti e proposte innovative. La creazione di occasioni di confronto e condivisione pubblica sulle politiche culturali è uno degli strumenti con cui far attecchire questa nuova visione.

9/10 Con tutto il peso della sua storia e la sua soffocante tradizione burocratica, Roma ha oggi due grandi “luoghi” dedicati alla contemporaneità. Credo che questo fatto contribuirà a rinnovare un ambiente artistico molto marginalizzato negli ultimi venti o trent’anni e a ridare alla città quell’apertura internazionale di cui ha urgente necessità. Un cambio di mentalità, che spinga a guardare oltre le logiche consuete, unita a capacità di programmazione e volontà di sperimentare nuove forme di cooperazione tra territorio e istituzioni, sono le mosse con cui la città può riconquistare un ruolo attivo sullo scenario internazionale.

STEFANO CHIODI
Dal 2011 è curatore del Macro. Direttore editoriale di www.doppiozero.com, e docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università Roma Tre.