THE COMING INSURRECTION

Personalmente ho sempre creduto che l’arte sia l’assimilazione tra atto politico e atto poetico o meglio che l’atto estetico in sé diventasse e influisse come atto politico e che dunque, in quanto tale, si reificasse come meccanismo conflittuale tra il senso del mondo e il mondo stesso come pura epifania. L’atto politico in quanto “ripartizione del sensibile” è la configurazione di uno spazio specifico ripartito in soggetti, oggetti, ruoli e identità; è la suddivisione del visibile e invisibile che sono in conflitto tra loro. La politica consiste nel riconfigurare la partizione del sensibile, introducendo soggetti e oggetti nuovi, nel rendere visibile ciò che non lo è. Occupy Wall Street e tutti i vari movimenti di Occupy si concatenano oggi come nuove soggettività di reinterpretazione dell’esistente e di ricollocazione dei ruoli. La documentazione dell’occupazione di OWS a Zuccotti Park, nella serie Gravity Hill NEWSREEL realizzata dal filmmaker americano Jem Cohen, non è che la rappresentazione del divenire soggettività insurrezionale in grado di contrastare lo sbilanciamento economico dell’esistente. Jem Cohen rappresenta in questo caso il nesso artistico tra politica ed estetica laddove l’agire poetico consiste nell’assecondare la tensione verso le questioni politiche. La responsabilità dell’artista si evince dal suo affondarsi e immergersi nella realtà in cui vive/migra/naviga, nel suo relazionarsi con il contesto sociale e istituzionale generando quesiti, dubbi e partecipazione attiva. In questa dinamica, l’arte funziona da dispositivo critico, da collante poetico tra movimenti di protesta e istituzioni corporative.
Ma è solo l’estetica che può frantumare/oltraggiare questa barriera e non viceversa. Soltanto l’arte con la sua attitudine può attivare forme di dissenso e di pensiero critico al sistema globale di costruzione, comunicazione e manipolazione del reale. Come scrive Jacques Rancière ci troviamo in una sorta di paradosso contemporaneo: “Il paradosso del nostro tempo è che, in ragione di una mancanza della politica propriamente detta, l’arte sia invitata in maniera sempre più insistente a intervenire nel campo della politica. È come se nell’epoca del consenso, il restringimento dello spazio pubblico e la cancellazione dell’inventività politica conferissero una funzione politica sostitutiva alle dimostrazioni degli artisti, alle loro collezioni di oggetti e tracce, ai loro dispositivi di interazione” (Il disagio dell’estetica, Pisa 2009, ed. ETS, p. 66).

TERESA MACRÌ
Critica d’arte, insegna Fenomenologia delle arti contemporanee all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.